Gruppo 6 Gdo, Umberto Di Maggio: “Se andasse tutto all’aria sarebbe un segnale devastante”

I tentativi di salvare dal fallimento il Gruppo 6 Gdo, la costituzione della cooperativa “Rita Atria”, le dimissioni dei componenti “storici” del presidio di Castelvetrano. Un periodo delicato quello che Libera sta vivendo in provincia di Trapani e che vede impegnato in prima persona anche il coordinatore regionale Umberto Di Maggio, uomo di fiducia di Don Luigi Ciotti in Sicilia.

Qual è stato finora il vostro ruolo nella vertenza del Gruppo 6 Gdo?

Abbiamo incontrato più volte i lavoratori del gruppo, marciando anche accanto a loro in un’importante manifestazione che si è tenuta a Castelvetrano. Abbiamo provato ad aiutarli a trovare una soluzione, mettendo assieme altre associazioni, i sindacati…E loro stessi, pensando al lavoro fatto con le cooperative di Libera Terra o con la Calcestruzzi Ericina, ci hanno chiesto se poteva essere un modello valido anche per questa situazione. Noi abbiamo risposto che poteva essere la formula giusta, purchè si dimensionasse questa nuova realtà a un piccolo pezzo di quello che è un autentico impero commerciale. Adesso siamo in trepidante attesa… Se andasse tutto all’aria, sarebbe un segnale devastante.

Da tempo si sta cercando di convincere il governo nazionale che la vicenda del gruppo 6 Gdo merita l’attenzione della politica nazionale. Anche il portavoce al Senato del Movimento Cinque Stelle, Vincenzo Maurizio Santangelo, ha presentato un’interrogazione parlamentare che va in questo senso. Perché è così difficile convincere la politica nazionale a impegnarsi con decisione su questioni come questa?

E’ una vicenda talmente eccezionale che io nella mia esperienza in Libera non ne ricordo altre paragonabili. Per questo è importante che i lavoratori abbiano visto nelle esperienze di Libera Terra e della Calcestruzzi Ericina un modello.  Ma, come dice don Ciotti, è il “noi” che vince. La questione non riguarda solo il governo nazionale o le istituzioni locali. Le responsabilità sono condivise. Guai a chi pensa che ci voglia il santone con la bacchetta magica.

Nel frattempo a Castelvetrano si è creata una frattura tra il presidio locale di Libera e il coordinamento provinciale e regionale. I soci “storici” hanno addirittura annunciato le proprie dimissioni da Libera. C’è la possibilità di una ricomposizione?

Vogliamo tanto bene ai soci che hanno preso questa decisione e proviamo grande riconoscenza per quello che è stato fatto in questi anni. Abbiamo inviato una nota in cui abbiamo spiegato le ragioni per cui si sollecitava il rinnovo delle cariche. A Castelvetrano è necessario tornare al “noi”, al plurale, a pensare a Libera come a un’associazione di associazioni, a una casa con le porte aperte, in cui possano trovare spazio tutti coloro che credono nell’antimafia. E che la praticano quotidianamente, anche per strada, magari venendo ai processi in cui ci siamo costituiti parte civile da Eden al processo contro il senatore D’Alì, a tanti altri. Libera Castelvetrano non esiste più. Ma esiste Libera a Castelvetrano. Per un’antimafia che diventi patrimonio collettivo non servono gli orticelli. Bisogna dare la possibilità anche alle associazioni cattoliche o ambientaliste di trovare in Libera un supporto.

A che punto siamo con la costituzione della cooperativa Rita Atria?

Ci sono novità molto positive. Abbiamo cominciato proprio nei giorni scorsi la fase della formazione della compagine selezionata tramite concorso pubblico. Dopo di che ci sarà un’ulteriore selezione finale. L’obiettivo di Libera, naturalmente, è quello di costruire un’alternativa a questo cancro che ci affligge.